L’inquietudine di Francis Bacon

Nella realizzazione di Ultimo tango a Parigi, il regista italiano Bernanrdo Bertolucci si lasciò ispirare da alcune opere di Francis Bacon. Nelle sue opere era presente la giusta dose di inquietudine e solitudine che il regista voleva inserire all’interno della propria pellicola.

Vittima di censura

Ultimo tango a Parigi è un film diretto da Bernardo Bertolucci nel 1972 ed è sicuramente il più controverso realizzato dal regista italiano. Si tratta di un melodramma, una storia d’amore impossibile tra una ragazza giovane e un uomo maturo, dal cui rapporto traspare una certa dose di inquietudine. La storia d’amore impossibile è proprio il nucleo del racconto, ma intorno ad essa ruotano una serie di storie: lui, Paul (Marlon Brando), è sposato e lei, Jeanne (Maria Schneider), si sta per sposare. Le storie non si toccano se non attraverso lo sguardo dei due protagonisti. Parigi non si vede spesso ma si sente: una storia del genere potrebbe succedere solo a Parigi. Bertolucci decise di girarlo nella capitale francese perché convinto che una storia del genere sarebbe stata inconcepibile altrove.

La pellicola appena dopo l’uscita fu condannata al rogo dalla magistratura italiana, ma il regista riuscì a trafugare una copia del negativo in Francia. Nel decennio successivo, un ricorso costrinse la magistratura a rivedere la sentenza: venne eliminata la censura e il film venne finalmente pubblicato. La differenza di età tra i protagonisti, l’estrema carnalità di alcune scene e un lungo monologo contro la famiglia (“una santa istituzione inventata per educare i selvaggi alla virtù”) sono i motivi principali della censura. Inoltre, l’attrice Maria Schneider disse che la scena più discussa del film, una scena di sesso anale, non era in sceneggiatura ma che fosse un’idea di Brando e Bertolucci; Bertolucci ha sempre smentito tutto.

Esempio stilistico

Nei titoli di testa, i nomi degli attori e di tutte le persone che hanno collaborato alla realizzazione del film sono affiancati da alcuni quadri. I dipinti nei titoli di testa sono di Francis Bacon. Se non consci la storia di come siano arrivati lì, ora tela spiego. Mentre Bertolucci è a Parigi per cercare le location per il film, visita una retrospettiva sul pittore e ne rimane folgorato. Dice allora a Vittorio Storaro, il direttore della fotografia, che il film deve avere quei colori. I volti dei quadri sono decomposti e nei quadri salta totalmente il realismo geometrico dello spazio. Questa scelta ci comunica che nel film si parlerà di due vite che si sformano. I quadri scelti dal regista per questa sequenza sono il Ritratto di Lucian Freud e lo Studio per un ritratto di Isabel Rawsthorne, realizzati entrambi nel 1964.

Studio per un ritratto di Isabel Rawsthorne

All’interno del film si ritrovano facilmente molti elementi di questi quadri, come gli ambienti spogli e polverosi in cui i personaggi si isolano e i colori accesi, ma al tempo stesso slavati, sono veicolo di inquietudine. C’è addirittura una scena in cui il regista inquadra i volti dei personaggi attraverso una porta di vetro smerigliato e questa distorsione trasforma i volti degli attori in quelli dei soggetti dei quadri di Bacon.

Demoni interiori

Queste caratteristiche rappresentano molto bene quelle dello stile di Francis Bacon. L’artista irlandese, infatti, usava l’arte come una valvola di sfogo dei suoi demoni interiori e come mezzo per esprimere la propria inquietudine. Accanito bevitore e giocatore d’azzardo, i suoi lavori sono spesso esempi di oscurità e crudezza. La figura umana è sempre rappresentata in maniera distorta. Le sue tele erano spesso realizzate in formato di dittico o trittico, in modo da approfondirei soggetti, inseriti sempre in ambienti spogli ma colorati, dipinti attraverso grandi campiture di colore.

I soggetti religiosi sono i più frequenti, soprattutto per quanto riguarda Papi o crocifissioni. Uno dei più noti è lo Studio dal Ritratto di Innocenzo X di Velázquez, grande punto di riferimento per il pittore irlandese. Qui Bacon riprende il quadro originale e lo stravolge, trasformando il trono in una gabbia e trasformando l’espressione del pontefice. Inoltre, il sangue sulle vesti, il colore cianotico del volto e le correnti ascensionali che sembrano rapire Innocenzo X contribuiscono ad accrescere l’inquietudine dell’osservatore. Bacon, in poche parole, riprende il dipinto originale e lo interpreta attraverso il filtro dell’incubo, dipingendone una versione mortifera.

Volti trasfigurati

Un altro marchio di fabbrica dello stile del pittore, già accennato in precedenza, sono i volti trasfigurati, tanto che il filosofo francese Gilles Deleuze disse di lui che “dipinge teste, non volti”. Un trittico esemplicativo di questa tecnica è anche legato a una storia straziante e si tratta di Triptych, May-June 1973.

Il giorno prima dell’inaugurazione di una retrospettiva al Grand Palais di Parigi, nel 1971, George Dyer, un amante del pittore, viene trovato morto steso nel bagno in una stanza d’albergo. Si ripete una stessa situazione che era già avvenuta nel 1962: il giorno prima dell’inaugurazione di una mostra alla Tate Gallery di Londra, un amante di Bacon si suicida. Tornando al Grand Palais, i fatti sono tenuti segreti durante l’evento. Ironia della sorte, il presidente Pompidou, nel mezzo della serata, apprezza molto un dipinto di Bacon che rappresenta proprio George Dyer seduto su una toilette. Al suo fianco, Bacon rimane pallido e muto.

Se l’articolo ti ha incuriosito o inquietato, ti aspetto alla prossima puntata.

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