Fragilità umana: Jago

L’artista di questo articolo è stato definito “il nuovo Michelangelo” dal Guardian. Sto parlando di Jacopo Cardillo, in arte Jago, un artista contemporaneo che è riuscito a crearsi una risonanza mondiale attraverso le sue opere e il corretto uso dei social. La fragilità umana sarà la protagonista di questo articolo. Tela spiego con le sue opere.

Fiume come scultore primario

“Ho riconosciuto che il fiume era stato scultore a sua volta. Mi sono chiesto quanto valesse il mio intervento su qualcosa che era già stato scolpito e lavorato. Ho deciso dunque di lasciare al sasso una memoria”

Jago

Per fare una scultura sono necessari ingenti investimenti. Oltre al tempo da dedicare al progetto, servono le materie prime per la realizzazione. Già a partire dal principio della sua espressione artistica, Jago non nasconde la sua creatività. Racconta, infatti, di prelevare dal fiume dei sassi che accostati hanno creato delle sculture che conservano il lavoro scultoreo realizzato dall’azione levigatrice del fiume stesso.

Muscolo minerale, 2017

Emblema di questa tecnica è Muscolo minerale. L’opera rappresenta un cuore scavato all’interno del marmo e contenuto in un sasso, lo stesso che l’artista ha rinvenuto da un corso d’acqua.

L’epoca in scultura

La ricerca artistica di Jago muove dalle tecniche tradizionali per creare qualcosa che trascende il tradizionale stesso. Non è il primo artista contemporaneo che presenta questa caratteristica, ricordi? Ne abbiamo parlato in un altro articolo, ma ti invito ad andare oltre il link, per saperne di più.

Tornando a noi, possiamo rintracciare in questa premessa il sogno di diventare un moderno Michelangelo. Ciò che accomuna il giovane scultore con il divin artista è il moto che muove la loro espressione artistica. Lo scultore è visto come colui che ha il compito di liberare la figura, nascosta dal materiale, e concederle una seconda vita, svincolata dal peso opprimente del marmo.

Mi raccomando, tieni bene a mente questo dettaglio, perchè tela spiego meglio più avanti, con una delle opere più famose di Jago. Ti anticipo che è probabile che tu prova un senso di inquietudine guardandole. Infatti, sotto il calore del suo stesso sguardo, l’osservatore percepisce la presenza di personaggi che portano con sé il freddo della superficie marmorea sotto la quale erano nascosti.

Le sculture che nascono dalla vena artistica di Jago sono il pretesto per trattare di temi fondamentali dell’epoca che abita, la stessa nella quale vivi anche tu che stai leggendo questo articolo. È questo che consente all’artista di instaurare un rapporto diretto con il pubblico, grazie alle sue condivisioni social che veicolano, non solo il prodotto finale, ma anche il processo produttivo e il significato che si cela dietro l’opera stessa.

L’uomo dietro la professione

Uno dei suoi lavori più noti è Habemus Hominem. Non tutti sanno che corrisponde alla reinterpretazione di una prima opera del busto in marmo di Papa Benedetto XVI. Si tratta dell’opera che lo stesso Vittorio Sgarbi, critico d’arte, ha selezionato per partecipare alla 54a edizione della Biennale di Venezia e che gli è valso la Medaglia Pontificia;  seppur con critiche dovute alle cavità oculari vuote.

Habemus Papam, 2009, Jago

Perchè ha deciso di distruggere la prima opera e rielaborare la stessa? Una semplice citazione esaurisce in sé la risposta:

Distruggere qualcosa che aveva vinto premi è stato come azzerare l’attaccamento all’opera; in quel momento era interessante fare un gesto introspettivo che togliesse il superfluo” 

Jago

Ripercorrendo la storia, quando il Papa ha abdicato, Jago aveva compreso che era arrivato il momento di liberare l’uomo che si celava nel marmo in cui era scolpito la figura. È questa rivelazione che cambia lo stesso nome all’opera, la quale si trasforma da Habemus Papam ad Habemus Hominem. Oltre a spogliarsi dell’identità del pontefice, l’opera si è fisicamente spogliata anche dei vestiti, presentandosi, adesso con un corpo nudo. Questo stratagemma ha consentito all’artista di rivelare l’uomo che era nascosto sotto la carica da lui coperta, per questo il titolo della scultura stessa diventa, adesso, “Abbiamo un uomo”.

Come abbiamo detto, Jago ha conosciuto la sua fama, grazie all’aiuto fornito dai social. Coerente con questa intuizione è la scelta di documentare il cambio delle vesti dal Papa a uomo attraverso un time-lapse che ha poi pubblicato sul sito e canale YouTube.

“Nel 2009 ho realizzato un ritratto di Benedetto XVI, nel 2016 l’ho distrutto per svelare l’Uomo dietro il personaggio”.

Jago

Oltre alla sensazione provocata dall’iper-realismo dell’opera, il fruitore resta colpito dalla profondità degli occhi del pontefice, gli stessi che sembrano accogliere un vuoto. Il risultato finale è un volto che riesce a seguire da qualsiasi angolazione lo sguardo dell’osservatore, resituendo una sensazione inquietante e stupefacente.

Habemus Hominem, 2016, Jago

So già cosa ti starai domandando. Come ha reagito Papa Benedetto XVI dinanzi a questa rappresentazione di se stesso? La risposta risiede nello stesso punto di vista del pontefice a proposito del concetto di bellezza. Egli infatti ritiene la stessa come qualcosa che dovrebbe fornire le ali, ma che allo stesso tempo “disturbi” e porti sofferenza. Riprendendo il buon vecchio Platone l’effetto bellezza, vista attraverso l’arte, dovrebbe essere quello di creare uno stato di sano “shock” nello spettatore.

Habemus Hominem, 2016, Jago

Liberazione dello spirito umano

Analizzando la scelta di Jago potremmo dire che sottolinei l’importanza, per l’uomo, di mantenere la propria umanità e integrità personale, indipendentemente dal ruolo o dalla carica che si ricopre. Lo dimostra l’alto prestigio di una carica come quella di Papa pontificio.

Un artificio che apre la porta a diversi spunti di riflessione. Essere uomo, e quindi bagaglio di valori, moralità e umanità, dovrebbe essere sempre al centro delle azioni e delle proprie decisioni. Una figura di grande potere e autorità come il Papa, non deve comunque scordare il valore dell’umiltà che lo deve tenere legato alle persone. È questa prospettiva che vale come un richiamo a evitare l’arroganza o il distacco dal mondo reale, che spesso un ruolo di potere può portare con sè.

La storia di un corpo: Venere

Tra tutte, però, l’opera che voglio portare alla tua attenzione non è Habemus Hominem, ma la Venere. Si hai capito bene, la stessa Venere che domina l’omonimo di Botticelli. Come abbiamo già detto, però, Jago attinge dalla tradizione, per presentare al pubblico qualcosa che si discosta da essa. Ecco la Venere ne è un esempio.

Anche in questo caso, si tratta di un’opera con un immenso impatto visivo. Alta quasi due metri presenta la classica postura della dea nell’atteggiamento della venere pudica. Nonostante la stessa posa, trasmette un’immagine diversa, portando incisa la storia che le ha accarezzato e segnato la pelle. Un particolare non irrilevante, che rende la dea spoglia dagli ideali di perfezione e bellezza giovanile che la caratterizzano nelle opere più famose.

Venere, 2018, Jago

Qual è l’idea che muove lo scalpello di Jago? Mostrate la sacralità delle fragilità e delle sofferenze che la vecchiaia conserva con sé. È così che Jago trasforma il simbolo di bellezza per antonomasia. La venere lascia alle spalle la perfezione delle forme, per inseguire la verità.

D’altronde, lo stesso artista ha affermato che la donna è Venere non solo nella sua giovinezza. Preferisce definirlo come uno “stato dell’essere”. Un’affermazione anacronistica, vista la società nella quale viviamo. La stessa che enfatizza e ostenta bellezza e perfezione, Jago ci insegna a non badare a come si indossano i vestiti, ma come si indossa il proprio corpo, grazie alla saggezza acquisita nel tempo. È così che l’eleganza non è più quella che si porta indossando il vestito giusto, ma quella che si ha nel momento in cui lo stare bene con se stessi diventa espressione dell’indossare bene il proprio corpo.

Fragilità umana

In questo articolo abbiamo esplorato l’arte di un creativo che è riuscito a mettere a nudo la fragilità umana. La stessa che si trasforma in un punto di forza nelle sue opere, suscitando forti emozioni nel fruitore. La creatività di Jago, conserva con sé la consapevolezza di essere l’idolo di se stesso. Lo stesso scultore riconosce la difficoltà che facevano emergere i primi pensieri. Trovare un linguaggio nuovo, originale e non esplorato ancora da nessun click digitale. Ciò che gli ha consentito di affrontare e superare queste difficoltà è stata la forza di ascoltare se stesso: unico, originale e irripetibile; l’unico maestro che tiene viva la propria creatività

Anche questo articolo è volto al termine. Ti aspetto al prossimo appuntamento dentro l’arte per esplorare nuove espressioni artistiche.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *